Storia

Il Seminario di Senigallia è uno dei più antichi d’Italia. Anche se non conosciamo la data precisa della sua fondazione, abbiamo documenti che ne attesta l’esistenza da prima del 1578. Qualche anno prima, nel 1563, il Concilio di Trento aveva istituito il Seminario per la formazione dei futuri sacerdoti.

LE PRIME DISPOSIZIONI DEI VESCOVI DI SENIGALLIA PER IL SEMINARIO DIOCESANO

I Vescovi di Senigallia si affrettarono a mettere in esecuzione il decreto tridentino e il Sinodo di Senigallia, il 4 maggio 1564 sotto la direzione del vicario generale mons. Felice Ambrosini discusse sollecitamente e molto su questo problema. Nel Sinodo dell’anno successivo (1565) si studiò il modo di mantenere i chierici, proponendo di esigere da ogni chiesa una tassa proporzionata alle rendite. Nel Sinodo del 1573 si elesse la Commissione per costruire l’edificio del Seminario, calcolando tutte le spese occorrenti per costruire l’edificio del Seminario; l’anno seguente (1574) venne esteso il ristretto per il Seminario, calcolando tutte le spese occorrenti per mantenere “10 ragazzi”. Forse da questa data si può pensare che i corsi del Seminario già esistessero, anche se l’edificio non era ancora stato edificato.
Nel 1578 abbiamo la certezza di questo, dato che il Liber Synodorum di quell’anno parla di alcuni debiti “ancora da pagare per la somma di scudi 60”. Vedremo poi che i “dieci ragazzi”, che nel frattempo erano diventati di più, alloggiavano in Vescovado. Infatti nel citato ristretto del 1574 (Inventari antichi presso la Cancelleria Vescovile Tomo 1) si calcolano spese per 318 scudi annui ma segue la nota: “L’abitazione di essi in Vesc.to, però ( = perciò) non si fa mentione della pigione”.
Il Polverari ritiene che questo Seminario senza sede propria, (ma già funzionante, se si pagavano 50 scudi annui “al Mastro per sua provisione”), si possa far risalire agli anni fra il 1574 e il 1577 (Nel 1578 aveva già dei debiti…) (Polverari, op. cit. pag. 15).
Il vescovo Cucchi e mons. Mencucci calcolano una data anteriore: 1573.

SISTEMAZIONE DELLA PRIMA SEDE DEL SEMINARIO: 1650

Con le rendite dei Benefici soppressi applicati dai vari Vescovi all’erigendo seminario, vennero comprate “case e siti” in quella che allora era l’ultima contrada della città, detta Contradella, poi Contrada S. Filippo (e in seguito Via del Seminario, Via dei Fusari perché nei giorni di mercato vi si vendevano gli oggetti di legno, fusi ecc.; poi Via Umberto I, e ora Via Fratelli Bandiera).
Finché esistettero le vecchie mura, lì presso c’era il “Baloardo della Posta”, detto anche “Baloardo dei Cappuccini”. Al di là della cerchia muraria, il Colle dei Cappuccini, detto ancor più anticamente Vigna del Vescovo (dove ora c’è l’Ospedale Civile); e il Misa, col Ponte dei Cappuccini (ora P.te Garibaldi); a sud-ovest, la Terra Vecchia, o Prato della Maddalena (ora zona del Duomo); l’edificio del Seminario si estendeva fino alla Contrada del Sagro Monte (ora Via Mastai).
Il Seminario non fu costruito ex-novo, ma adattato su case già esistenti; nella carta topografica del Mortier (1663) queste case sono riportate, mentre sia in quella del 1546 sia in quella del Ridolfi (1596) quella zona era alberata. Perciò le case acquistate non dovevano essere molto vecchie e tutte erano in comunicazione costituendo così un complesso unico.

COSTRUZIONE DEL NUOVO SEMINARIO

Molto si era fatto sino ad allora, ma l’ideale di una Sede grande e unica non era ancora raggiunto. I giovani erano sparsi nelle varie case e non era facile una buona sorveglianza. Perciò nel Libro delle Congregazioni del 1716 troviamo un progetto per una sistemazione migliore. Ma era necessario comprare un appezzamento di terreno confinante.
Il terreno venne pagato 50 scudi d’Urbino e il Vescovo Card. Giandomenico Paracciani fece iniziare la demolizione delle vecchie case e la costruzione del Nuovo Seminario. Questa si prolungò per 14 anni e fu terminata nel 1731 sotto il Vescovo Bartolomeo Castelli.

IL SEMINARIO DURANTE LE DUE GRANDI AMPLIAZIONI DELLA CITTA’

Nel 1746 e nel 1757 ci furono le due famose ampliazioni di Senigallia volute da Benedetto XIV, il celebre Cardinale Lambertini, che aveva lasciato pieno d’ammirazione perfino Voltaire. Sotto il suo pontificato Senigallia conobbe un periodo di grande floridezza.
Nel 1746 vi fu la demolizione dell’antico vescovado, che si trovava dove ora abbiamo l’imboccatura del Corso verso il fiume; la città così inglobò la zona del Porto dove si trovavano i magazzini delle varie nazioni che arricchivano la Fiera Franca di Senigallia; e la Via Grande (ora via Carducci) collegava il corso con Porta Lambertina. Per proteggere i banchi di vendita della Fiera, Benedetto XIV fece costruire i grandiosi Portici che presero il nome dall’architetto che li disegnò e ne diresse i lavori: mons. Ercolani, di nobile famiglia senigalliese.
Nel 1757 (seconda ampliazione) la città si estese alla Terra Vecchia ovvero Prato della Maddalena dove sorsero il Duomo e il nuovo vescovado e vennero prolungati i Portici Ercolani, dal Seminario al Ponte dei Cappuccini (= Ponte Garibaldi). L’edificio perciò fu chiamato Seminario dei Portici. Su questo Porticato, il Cap. VII di “Senigallia nella storia”, Vol. III, a firma di Edoardo Fazi, così dice: Terzo Porticato – 17 archi, dal XLVI al LIII e dal 54 al 60. Di questo porticato la comunità costruì i primi 10 archi dal XLIV al LIII) ed i restanti 7 furono costruiti dal Seminario Vescovile (dal 54 al 60).
L’aver quest’ultimo costruito solo gli ultimi sette archi non significa che solo sopra di essi ha limitato la costruzione del suo fabbricato soprastante, la tipologia del quale sembra indicare invece che sopra i cinque archi, dal XLV al XLIX, abbiano costruito i Padri Scolopi (cui era stata affidata la Direzione del Seminario nel 1741) e sui rimanenti undici, dal 50 al 73 e dal 54 al 60 lo stesso Seminario.
Il 12 aprile 1778, sotto il vescovo Card. Bernardino Honorati (1777-1808) fu sistemato e reso più imponente il seminario, ma nell’interno si continuavano a vedere gli antichi sviluppi delle varie costruzioni.

I VARI REGOLAMENTI DEL SEMINARIO

Sotto la direzione degli Scolopi l’Istituto conobbe un lungo periodo di splendore. Se da principio c’era solo un “mastro”, ben presto si moltiplicarono: venne il “mastro di canto”, e al tempo del vescovo Isolani (1734-1742), altri tre: di grammatica, di logica e di teologia morale. Le scuole erano divise in Basse e Alte; le vacanze cominciavano per i piccoli l’8 settembre, per i grandi il 14 agosto e terminavano per tutti il 2 novembre. C’erano poi le vacanze di Pasqua e anche di Carnevale. Gli Scolopi aprirono in seminario anche un collegio per alunni esterni.
Naturalmente i seminaristi erano soggetti a una severa regola. Se ne ha notizia fin dal 1627, sotto il vescovo Barberini. Anche il vesc. Castelli (1724-1734) diede un Regolamento coll’obbligo che venisse letto ogni sabato in refettorio; ma pochi anni dopo il vesc. Isolani (1734-1742) ne fece un altro, perché nella visita del 1737 aveva rilevato parecchi errori d’interpretazione e abusi. Altre Costituzioni desunte principalmente. dal Concilio di Trento e dall’Istituzione di S. Carlo, sono del 1770 (vesc. Ippolito De Rossi). Poi ve ne sono altre nell’ottocento, fino al tempo del card. Testaferrata (1818-1844). Nel 1854 Pio IX affidò il Seminario ai Gesuiti che vi rimasero fino al 1860 (annessione dello Stato Pontificio al Regno d’Italia).
Vi fu poi il Regolamento del Vesc. Tito M. Cucchi del 1904 che conteneva 96 regole severe ma anche piene di comprensione e saggezza per la giovane età degli allievi. In esse veniva raccomandato lo svago lieto nelle ore di ricreazione, la gentilezza del comportamento e “la mondezza della persona”.

IL SEMINARIO NELL’OTTOCENTO E LE MUNIFICHE ASSEGNAZIONI DI PIO IX

Nel 1800 il seminario risentì molto dei cambiamenti portati da Napoleone: gli Scolopi dovettero andarsene e portarono con sé tutti i documenti di archivio.
Il Vesc. Card. F. Sceberras Testaferrata (1818-1844) rialzò molto il tono dell’Istituto con una nuova Ratio Studiomm: chiamò a insegnarvi, oltre ai professori sacerdoti, anche alcuni laici di chiara fama, come il poeta e letterato Luigi Mercantini, cui fu assegnata la cattedra di Retorica dal 1842 al 1844.
Pio IX concesse molti benefici al seminario della sua prediletta città natale: colle rendite dello Stabilimento Pio da lui fondato e dotato, assegnò 12 posti gratuiti per chierici poveri e un aumento di stipendio ai professori di teologia dogmatica, teologia morale, sacra scrittura e storia della Chiesa e all’insegnante di Diritto Canonico e Civile, che allora era detto “Docto U.J..”, cioè Doctor utriusque Juris.
Quanto ai posti al Seminario Pio di Roma, ne concesse uno ad ogni Diocesi dello Stato Pontificio, ma a Senigallia, due. Gli ultimi Rettori del Seminario, dal 1900 all’erezione del Seminario attuale, furono appunto allievi del Seminario Pio di Roma.

IL TERREMOTO DEL 1930

Il 2 febbraio 1924 un terremoto danneggiò gravemente il seminario; il vescovo fece riparare i danni molto notevoli con tutta solerzia.
Ma il 30 ottobre 1930 un nuovo disastroso terremoto lesionò e portò guasti irreparabili a tutto l’edificio che dovette in parte essere demolito. Così ebbe fine il glorioso Seminario dei Portici. Di quei momenti drammatici resta una cronaca scritta da don Gaudenzio Allegrezza.

IL PERIODO DI MONTEMARCIANO

Dopo il disastro, i chierici furono mandati a casa: per fortuna erano tutti vivi sebbene alcuni malconci e feriti; poi furono accolti nelle scuole di Montemarciano dal 4 dicembre 1930 al 13 aprile 1931.
Di questo periodo trascorso quasi in esilio rimangono brevi annotazioni sulle “Cronache del Seminario”, mesi dic. 1930- gen. maggio 1931.
Trascorrono così 4 mesi e mezzo in terra amica ma come nomadi, nella più assoluta povertà, semplicità e spirito di fede, guidati dall’esempio del Rettore D. Macario Tinti e dal P. Spirituale Don Pietro Dolciotti. I Professori vengono, (quando possono), da Senigallia; le aule sono poche e quindi buone a tutto (dormitorio, studio, ricreazione, scuola).
Un grande dormitorio per 40 alunni nello scantinato; una piccola Cappella rimediata nel sottoscala, ma sistemata con gusto e decoro liturgico; un refettorio lungo e stretto allestito in un corridoio del sotterraneo vitto come in tempo di guerra; ma tanta serenità, letizia, colloquio ed intesa con la buona gente di Montemarciano, che ci ama e segue specialmente nelle funzioni della Domenica nella Collegiata e nelle frequenti visite agli Alberici. C’è soprattutto l’affetto ed ogni aiuto e continua presenza del parroco D. Nazzareno Fabietti, la cui memoria rimarrà sempre scolpita nei Chierici del 1930.

IL SEMINARIO NELLA VILLA DI SCAPEZZANO (1931-1956)

Il 13 aprile 1931 i seminaristi si stabilirono nella villa di Scapezzano: dovevano rimanervi fino al 1957. Per fortuna la villa era stata riparata dai danni del terremoto per la munificenza di Papa Ratti (Pio XI) che la dotò anche di una nuova cappella. Molti sacerdoti dei nostri giorni ricordano i loro anni di studio in quella villa, dove purtroppo d’inverno regnava un gran freddo. Scrive il lepido seminarista che non si firma, come non si firmano nemmeno gli altri cronisti di “Seminario Nostro” (19-3-1952): “I banchi fatti certamente con i resti dell’Arca di Noè; il fuoco è monopolio dello straniero: studio, scuola, preghiera, sempre in ambiente freddo; e come filtra la Bora!”
Una mattina sui letti della camerata S. Giovanni, a nord, brillava la neve. Certo le condizioni si erano aggravate al passaggio del fronte (8-9 agosto 1944): i cannoni degli americani (ossia dei Polacchi che conquistarono la zona) devastarono Scapezzano dalla mattina alla sera; la Villa del Seminario fu colpita in vari punti. I ragazzi vollero poi contare le schegge che si erano conficcate nei muri: erano 16.500! Senza contare gli squarci più gravi. Certo, dopo questo sconquasso gli infissi furono più sconnessi e il freddo potè filtrare più accanito.
Nella Villa di Scapezzano i giovani chierici prendevano pie e apostoliche iniziative; il 5 giugno 1931 fondarono il Circolo Missionario; nel 1935 istituirono la sezione di Azione Cattolica. Nel novembre 1935 il chierico Giacomo Garofoli partì per il Pontificio Istituto Missioni Estere (P.LM.E.); nel 1950 il chierico Aldo Pieragostini si aggregò ai Padri Comboniani di Verona e nel 1952 il chierico Aldo Vagni partì per l’Istituto Saveriano di Parma.
L’attività del Circolo era viva: convegni missionari, una Mostra Missionaria allestita dai seminaristi stessi nel 1941; un’altra, interessantissima, nei locali dell’Episcopio, nel 1957, e altre ancora. Costantemente i missionari usciti dal nostro seminario si facevano rivedere ad ogni ritorno dalla terra di missione, infiammando gli animi coi loro resoconti. Purtroppo alcuni dovettero raccontare di essere stati prigionieri, come P. Vagni nel Congo, e P. Garofoli, espulso dalla Cina nel 1954. Ma tante altre vocazioni missionarie sbocciarono.
Non mancavano le feste e le recite: il 24 novembre era la Festa delle Madri e tutte le mamme passavano l’intera giornata accanto al figlio seminarista. La sera, recita: nel 1940 si recitò “Cuore di Mamma”; la cronaca della giornata è fatta da un seminarista anonimo che la mamma non l’ha più…
Anche per l’onomastico del vescovo si fa il Teatrino dei Piccoli e i più letterati compongono il giornale “Alleluja”, numero straordinario del 24-3-1940. Un articolo rievoca il Beato Umberto di Savoia, protettore del vescovo Umberto: nato nel sec. XII, figlio di Amedeo III, morto in una crociata.
Ma il Vescovo non era tranquillo, a causa del seminario che doveva ricostruire. Anche il Vesc. Cucchi prima di morire aveva espresso il suo rimpianto per questo progetto mai realizzato e qualcuno scrisse: “Il Seminario è il grande dimenticato”.
La liquidazione statale dei danni per le zone terremotate si era svalutata col grande rialzo dei prezzi del dopoguerra. Nel 1946 il vescovo parve rinunziare a costruire un grande edificio dalle fondamenta e comprò il palazzo della Filanda in Piazza del Duomo, coll’intenzione di adattarlo a Seminario. Per la circostanza scrisse una lettera.
All’Appello del Vescovo la Diocesi corrispose in modo sollecito e generoso. Anche il Papa donò tre milioni e mezzo di lire. Ma non fu possibile sistemare la Filanda perché nel Palazzo vi erano 18 famiglie d’inquilini a fitto bloccato.
Nel frattempo era stato aumentato il sussidio statale per i danni del terremoto: 72 milioni. Il Comm. Ingegnere Arnaldo Battistini, allora direttore generale del Ministero dei Lavori Pubblici aiutò la nostra Diocesi nel disbrigo delle pratiche.
Nell’ottobre 1948 il vescovo riunì il clero e pose una domanda alla quale ognuno doveva rispondere per iscritto: preferivano riadattare la Filanda colla spesa di qualche decina di milioni, o costruire un seminario nuovo col preventivo di 200 milioni? Tutti decisero per il Seminario nuovo; c era un terreno vastissimo su un rialzo panoramico: l’aveva donato Pio XI fin dal 1932, proprio per il nuovo seminario.
Il 27 novembre 1948, il vescovo Ravetta comunicò ufficialmente questa decisione: si dà il via alla costruzione del nuovo seminario.

COSTRUZIONE DEL NUOVO SEMINARIO

Il Vescovo Ravetta fece redigere il nuovo progetto dall’Ing. Battistini al quale si unì l’architetto Marcello Diamantini. Decise di benedire la prima pietra il 6 marzo 1949, nel decimo anniversario della sua presa di possesso della diocesi. Però quel giorno c’era tantissima neve e freddo polare e non si poté fare la posa della prima pietra sul terreno dell’erigendo Seminario. Si fece nella Chiesa dell’Assunta e qui la pietra fu lasciata e per tre anni non se ne parlò più: fu una prima pietra simbolica.
La ditta Girolimini iniziò la costruzione del Seminario il 6 dicembre1951 e il 4 maggio 1952, festa di S. Paolino fu effettuata la posa in opera reale di questa prima pietra benedetta tre anni prima.
Con l’inizio dei lavori incominciarono anche le difficoltà finanziarie; l’istituto di Credito Fondiario concesse un mutuo di 30 milioni, garantito dalle proprietà della diocesi. Allora clero e popolo si lanciarono in una gara di generosità encomiabili: i benefici più dotati cedettero parte delle loro proprietà; tutti si impegnarono a versare per i primi due anni 100 lire per anima e un quintale di grano per ettaro; fino alla fine del mutuo, poi, trenta lire e trenta kg. di grano.
Anche alcuni vescovi d’America risposero all’appello accorato del nostro pastore. E il ministro Ferdinando Tambroni diede il suo aiuto. L’edificio fu terminato in quattro anni.
Tante spese si poterono affrontare solo per la collaborazione entusiastica di tutto il popolo. Incredibili iniziative dei fedeli per offrire denaro a quest’opera che stava a cuore a tutti: chi raccoglieva metalli, stracci e cartoni da rivendere; chi faceva recite, offrendo al seminario tutto il ricavato; chi offriva simboliche stelle alpine, chi si privava dei divertimenti. Ebbe luogo anche una lotteria: chi offriva 5 kg di grano, poteva vincere un erpice oppure un torchio, una seminatrice, radio, sveglie ecc.

 

 

 

 

INAUGURAZIONE E BENEDIZIONE DELLA NUOVA CHIESA DEL SEMINARIO

L’8 dicembre 1953 si celebrò la cerimonia della posa in opera della prima pietra della Chiesa del nuovo Seminario
La chiesa dedicata alla Madonna Immacolata fu eseguita prima di tutto e inaugurata il 5 dicembre 1954, Anno Mariano durante il quale i seminaristi dimostrarono la loro speciale devozione alla Madonna con parecchi pellegrinaggi a piedi: alla Madonna della Rosa (Ostra) e alla Madonna del Sole (Belvedere Ostrense.); alla Madonna dell’Incancellata di Corinaldo, (dove avevano accompagnato il funerale di Assunta Goretti, la venerata madre di S. Maria Goretti).

 

 

 

 

INAUGURAZIONE DEL SEMINARIO NUOVO

Quest’opera tanto auspicata ebbe la sua inaugurazione con un giubilo indicibile del popolo il
5 ottobre 1957
Le solenni feste avvennero colla partecipazione del card. Adeodato Piazza, segretario della Sacra Congregazione Concistoriale, e vescovo di Sabina e Poggio Mirteto.
L’entrata dei seminaristi era già avvenuta in forma ufficiosa il 19 settembre 1957. Erano in 103, tutti nel Seminario nuovo. Però anche qui li avrebbe seguiti il solito freddo, dato che non c’erano stati fondi sufficienti per fare l’impianto dei termosifoni.
In novembre fu fatta venire una ruspa per sistemare i campi da gioco.
Ma l’11 novembre ci fu un’epidemia di asiatica: ben 80 chierici furono ricoverati all’infermeria. Il 28 però erano abbastanza guariti e si fece la Festa delle Mamme.
Il rettore che ebbe la gioia di inaugurare il seminario nuovo fu Mons. Macario Tinti. Tra le memorie di S.E. Mons. Macario Tinti c’è anche questa bella pagina di cronaca densa di ricordi e di humour intitolata: Ritorno dall’esilio:
La sera del 15-7-1956 ha preparato la camera e dormito nel nuovo Seminario, il primo e la prima volta, nella casa sospirata fin dal terremoto del 1930… ben 26 anni!
Il mattino dei 16 mi ha svegliato il sole che, meraviglioso, sorgeva e rifletteva sul mare. La Madonna del Carmine apriva una nuova vita al Seminario.
Con l’aiuto gioioso e volenteroso dei Seminaristi più grandi, si sono fatti lavori dì ripulitura e sistemazione dei locali e dei mobili,
11 6 ottobre 1956 da Scapezzano portando l’immagine della Madonna – Patrona del Seminario – in auto fino alla Chiesa della Pace, poi in processione al Porto, Portici Ercolani, Vecchio Seminario, Cattedrale, Ospedale, si arrivò alla nuova sede accolti con entusiasmo e commozione di tutti e dal. Vescovo S. E. Mons. R.avetta sul portone d’ingresso.
All’Immacolata viene reso poi omaggio coi canti e preghiere nella nuova Chiesa.
L’esilio dal 1930, prima a Montemarciano, poi a Scapezzano, era terminato, lasciando però l’impronta di lacrime, sofferenze, di freddo, dì bora, solitudine, rovine di guerra, dei morti seppelliti nel campo presso la Mater Dei.
Dal 1940 al 1960 più di 80 sacerdoti uscirono da quelle mura, oltre molti alunni extra-diocesani. Ma anche dopo l’inaugurazione restavano forti impegni organizzativi ed economici e il clero come pure i fedeli continuarono a contribuire con generoso entusiasmo.
Ancora per qualche tempo il seminario prosperò; ma alla morte del vesc. Ravetta non fu eletto subito un successore e dal 1965 al 1971 si ebbero due Amministratori Apostolici. Nella crisi delle vocazioni di quegli anni, si pensò meglio trasferire i seminaristi al Seminario Regionale di Fano: nel 1968 gli studenti di Teologia; nel 1969 anche quelli di Liceo. A Senigallia rimase solo il Seminario Minore.

 

 

 

 

IL QUADRO DELLA MADONNA “LA MEDAGLIA MIRACOLOSA”

Il dipinto venne commissionato al pittore Domenico Berardi di Corinaldo (1817-1857) dal Vescovo di Senigallia il Card. Domenico Lucciardi (eletto da Pio IX Vescovo di Senigallia dal 5-9-1851 al 13-3-1864), con tutta probabilità nel 1854; questa data è la più verosimile sia perché il pittore l’ha certamente eseguita prima del 1857 (anno di morte del Berardi), sia perché il 1854 è stato l’anno della definizione del dogma dell’immacolata Concezione e la Città e Diocesi di Senigallia hanno festeggiato e ricordato in tanti modi questo fausto avvenimento teologico – mariano (vedi la chiesa dell’Immacolata, vedi le epigrafi in Duomo, ecc.), e sia perché in questo periodo era universale la devozione, l’amore e l’ossequio della Medaglia Miracolosa la cui apparizione a S. Caterina Labouré risaliva al 27 novembre 1830 e la celebre visione della stessa Medaglia e la conversione del famoso ebreo Alfonso Ratisbonne era di qualche anno prima del 1854.
Il nostro Vescovo quindi pensò di porre il Seminario sotto la protezione dell’Immacolata, definizione che era stata profeticamente precorsa e preparata dalla Medaglia Miracolosa.
Anche la nuova chiesa del Seminario porta inciso su timpano questa dedica: “Beatae Mariae Virgini Immaculatae,” e sul fastigio del Seminario domina la statua della Medaglia Miracolosa.
Così pure nella pergamena murata nella prima pietra posta nelle fondamenta del Nuovo Seminario il 6-5-1949 vi è scritto tra l’altro: “… questo Seminario dedicato alla B.V.M. Immacolata…”.
S. Caterina Labouré vide l’Immacolata biancovestita, appoggiata sopra un globo in atto di schiacciare con il piede una testa di serpente; la sua statura era media, l’aspetto bellissimo; i suoi occhi erano in un primo tempo rivolti al cielo e le sue mani reggevano un altro piccolo globo, figura dell’universo, che Ella sembrava stringere al cuore. Ad un tratto il piccolo globo disparve e dalle mani di Maria abbassate si videro scendere raggi luminosi. La SS.ma Vergine rivolse lo sguardo alla suora e le disse: “Il globo che tu vedi raffigura il mondo e ogni singola persona. I raggi sono il simbolo delle grazie che io spargo sopra le persone che me le domandano”. Poi si formò attorno alla figura della SS.ma Vergine un quadro ovale su cui si vedevano scritte in lettere d’oro poste a semicerchio, queste parole: “O Maria concepita senza peccato pregate per noi che ricorriamo a voi”. S. Caterina udì una voce che le diceva: “Fa’ coniare una medaglia di questo modello. Le persone che la porteranno riceveranno grandi grazie”.
L’immagine della Madonna della Medaglia Miracolosa è, quindi, l’anello e la catena ideale e simbolica della continuità del nostro Seminario, dal vecchio edificio sopra i Portici Ercolani, a Montemarciano e Scapezzano, al nuovo Seminario. E dal 27 novembre 1934 si rinnova ogni anno l’incontro del clero e degli ex-alunni del Seminario.

 

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